Chiesa del Convento

Album Fotografico

Salvatore Pappalardo, Chiese e Quartieri di Acicatena  


Venne completato nel 1655 e, fin dal suo nascere, fu un centro attivo di cultura e di vita religiosa. I frati, in piena armonia con il clero locale, prendevano parte alla vita religiosa e civile della comunità e mettevano a disposizione degli studiosi la biblioteca che via via sorgeva e si ampliava.
Molti di questi frati lasciarono un gradito ricordo ai contemporanei e ai posteri: fra Gaetano, detto il Corintio, che difese anche a Roma i diritti della provincia e del convento; fra Daniele Arcidiacono, noto per santità di vita e per esemplare carità; il terziario Antonio Barbagallo, «di grandissima astinenza, mortificazione e pazienza... in questo convento della sua patria paradisiacamente morto nell'anno 1645», come diceva l'iscrizione apposta sotto il suo ritratto; il fratello Serafino Maugeri, «dotato di molta carità e umiltà, fece molti miracoli in vita e in morte», che scomparve nel 1715.

Simulacro Immacolata
Simulacro Immacolata
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Accanto ai nomi di umili frati, quelli di frati più illustri: padre Arcangelo Tropea, provinciale dell'ordine francescano nel 1711, teologo, oratore, poeta e autore di tragedie, che compose una notevole serie di trattati riguardanti la teologia morale e il diritto canonico e che fu definito uno dei più grandi casisti del settecento; padre Cherubino Rossi, lettore di filosofia e teologia, anche lui autore di trattati in latino ed eletto provinciale dell'ordine nel 1738; padre Antonio Maria Rossi che, a 19 anni, nel 1746, sostenne nella chiesa di S. Maria di Gesù a Catania una pubblica disputa teologica e lasciò un gran numero di opere; padre Girolamo Panebianco, oratore, teologo e letterato, per tre volte eletto provinciale dell'ordine, autore di svariate opere, che scomparve nel 1793 e, per la sua acutezza, definito «lo Scoto della sua età»; padre Giuseppe Grasso, conoscitore profondo dei Padri della Chiesa e letterato, che fu anche missionario e, nel 1800, provinciale dell'ordine.
L'elenco potrebbe continuare, ma è chiaro che il convento dì S. Antonio, tra il settecento e l'ottocento, costituì un faro luce che s'irradiò, non solo su Acicatena e dintorni, ma su tutta la Sicilia.
Oggi sono trascorsi oltre cento anni dalla partenza dei frati e di essi resta un ricordo leggenda­rio. Il comune si è insediato nel convento e la loro biblioteca, in parte distrutta e adesso ricostituita, con l'aggiunta di opere moderne, è diventata la biblioteca comunale.
Nuove costruzioni sono sorte là dove era l'antico giardino dei monaci; alcune sopraelevazioni si sono aggiunte, per rendere più funzionale l'edificio comunale. Rimangono, tuttavia, sulla bocca del popolo, le vecchie denominazioni: «il convento», «la chiesa del convento», «dietro il convento», per indicare l'edificio o il quartiere che sta dietro il municipio. La chiesa, assieme ad alcuni locali annessi, in questo secondo dopoguerra, è stata restituita dal comune all'autorità ecclesiastica, che l'ha affidato nuovamente ai Frati minori. La chiesa, con la sua architettura francescana, con le sue tele preziose, con le sue statue, è tornata ad essere un centro di religiosità francescana, frequentato particolarmente dai giovani.
Ma tutto è cambiato. I lunghi corridoi e le celle, dove i frati trovarono serenità, lavoro e gioia, sono i locali e gli uffici dei comune. Gli amati libri rilegati in cartapecora da mani affettuose, i manoscritti, in parte, sono dispersi, altri riposano appartati nei più alti e polverosi pacchetti della Civica biblioteca. Il luogo dove i fondatori vissero e morirono - e pareva loro più caro della vita - non è più il convento. E’ il luogo dove, in bene o in male, si decide la vita del comune. La santità e la bellezza della tradizione rivivono, soltanto, nella chiesa, ultima erede, Custodita intanto da mani diligenti, perché lo spirito dell'umanità non muoia. Accanto alla chiesa, attiguo alla piazza, è sorto nel 1932 il monumento ai caduti. Realizzato dallo scultore Michele La Spina, porta un'iscrizione det­tata da Francesco Guglielmino: «Sul punto il simbolo - nei cuori il ricordo perenne - il voto di emu­lare il sacrificio - se la patria chiama - a nuovi ci menti».
Attorno vi sono delle aiuole ed anche alberi, su cui non si posano mai gli uccelli. Sorgono anche due freschi zampilli di acqua accanto ad alcuni sedili di ferro che, nelle belle giornate, offrono lunghe pause di riposo ai vecchi e agli stanchi.
Ogni anno, il 4 novembre, un piccolo corteo, con a capo il sindaco, muove verso il bianco monumento sullo sfondo delle gradinate nere e una corona di fiori viene deposta ai piedi della lapide, per rendere omaggio ai caduti della prima e della seconda guerra mondiale e per far sapere a tutti che il loro ricordo è perenne nei Cuori della Popolazione.
Rivolgo i miei occhi a quel monumento, forse troppo grande e poco adeguato allo sfondo che gli fa da cornice; fermo i miei pensieri sul nereggiare di pietra lavica, che fa da piedistallo al municipio e all'antica chiesa del convento. Penso e dico: quello che faccio è forse un enumerare cose vecchie? Perché rivolgere l'animo ad altri tempi? Sì, rivolgiamo l'animo ad altri tempi, ma affinché nel futuro possiamo creare cose nuove e belle!

(inizio articolo)