Chiesa di S. Giuseppe
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Salvatore Pappalardo, |
Chiese e Quartieri di Acicatena |
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Una grande tela, dipinta da Lorenzo Gramiccia nel 1740, sormonta
l'altar maggiore, che è finemente scolpito in marmo pregiato. La tela raffigura
la fuga in Egitto della Sacra Famiglia.
Presso un'oasi, nello smorzato chiarore
di un'alba o di un tramonto, tra giuochi di luce, la Madonna assisa sostiene
sulle ginocchia Gesù bambino, mentre Giuseppe è tutto rivolto nel gesto di
raccogliere i datteri, per offrirli al Bambino.
Al centro della scena, disposte
in un movimento ascensionale, la mano protesa di Gesù e quella di Giuseppe
s'incontrano. Di fronte alla chiesa e ai suoi fianchi, sorge un quartiere
periferico, di spalle a diretto contatto con gli agrumeti - ma fino a quando? -
e disposto nel punto dove la via 4 Novembre, in discesa, tocca il suo punto più
basso, per poi risalire verso la contigua contrada Acquanuova. Ma Acquanuova è
parte integrante del rione San Giuseppe.
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Tela posta nell'altare Maggiore
Foto: F. Barbagallo
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E’ un nome che risale al 1667,
attribuito alla località dalla spontanea volontà popolare, quando in quel sito,
a poche centinaia di metri dalla chiesa, emerse alla luce la prima abbondante e
pura sorgente che allietasse la vita e il lavoro della comunità, alimentando i
mulini e irrorando le campagne.
La sorgente, verso la metà del secolo scorso,
venne dotata di un artistico recinto in pietra lavica finemente lavorata, ornato
da vasche, gradinate e da un'enorme conchiglia scolpita nella stessa pietra. E
si chiamò la fontana di Acquanuova. Dirimpetto alla fontana, negli ultimi
decenni dello stesso secolo scorso, sorse un grande mulino - il mulino o
stabilimento di Cavallaro-Samperi - dalla grande ciminiera, alta sul paesaggio,
visibile da tutti i punti della vallata dell'Aci: «a ùgghia».
Costruita su
solidissima base, anche quando il mulino cessò di funzionare e i suoi locali si
trasformarono in ruderi, essa mostrava ancora la sua salda consistenza e si
opponeva ad ogni assalto del tempo. All'interno, lungo il suo condotto, c'era
una lunga scala a pioli di ferro che sbucava sulla sommità, la quale era così
spaziosa da costituire come una piccola terrazza.
Strane storie circolavano
intorno alla «ùgghia» di Acicatena. Si diceva, tra l'altro, di un bambino che
una volta era salito sull'alto di quella ciminiera, senza più poterne
discendere. La fontana di Acquanuova, «a ùgghia» e la chiesa di San Giuseppe,
fino all'immediato secondo dopoguerra, costituivano un triangolo quasi magico,
che collegava al passato la vita del quartiere e che interessava tutta la
comunità.
Nelle belle serate di maggio, le ragazze, accompagnate dalle mamme,
sfilavano lietamente per via 4 Novembre, dirigendosi verso la fontana e verso la
«ùgghia» svettante, per prendere una boccata di aria pura. Vi sostavano a lungo,
raccoglievano fiori, si davano al canto. Oggi è scomparsa l'artistica fontana,
trasferita altrove. La ciminiera è stata abbattuta con la dinamite, perché
ritenuta inutile. Non c'è più acqua ad Acquanuova e non vi sostano più le
ragazze.
Rimangono i pochi ruderi degli archi dell'antico acquedotto che, dalla
sorgente, si dirigeva verso il mulino. Soltanto sopravvive la vecchia chiesa di
San Giuseppe, sorvegliata a distanza da enormi palazzi bucherellati, dove la
popolazione si accalca.
E’ rimasta solitaria, umile e silenziosa, povera e
spoglia, come il vecchio patriarca suo titolare, eppure visitata spesso
inspiegabilmente dai ladri. Frequentata alla domenica da poche persone, si anima
una volta all'anno: il 19 marzo. Essa, da quando è morto il suo ultimo,
combattivo sagrestano Giuseppe Russo, «Puddu u caliàtu», invecchia sempre di
più, con rapidità crescente, impressionante. Il tempo si accanisce contro di
essa, con violenza spietata. Chi fermerà questa sua corsa verso la decrepitezza
e verso la fine? Ma io convoco verso le antiche gradinate la mia anima. A quelle
rampe ampie di scale erbose, trascorso ormai il fiore degli anni, riconduco i
miei ricordi e sento che i miei innumerevoli vagabondaggi mi hanno spinto a
trascurare quell'annosa presenza, fatta di pietre bianche e corrose.
E avverto
che non ho mirato più, da tempo, la dolcezza dei tramonti purpurei, sullo sfondo
della sua cupola e dei suoi campanili, né mi ha raggiunto presso il sagrato il
profumo delle fresie, respiro dell'anima. E m 'accorgo che da tempo non ho
ascoltato più il suono di quelle tre campane sottili e leggere, che mi
svegliavano all'alba di ogni domenica.
Non ho più sostato sotto la sua volta
ampia, debolmente rischiarata dalle polverose finestre; né mi sono più raccolto
davanti al marmo tenero del grande altare barocco, che esalta la fronte pensosa
dell'antico, giusto Giuseppe.
(inizio articolo)